SPORTELLO D’ASCOLTO GRATUITO

NOVEMBRE:  SPORTELLO D’ASCOLTO GRATUITO

Si ripete per il secondo anno consecutivo, presso il Centro Multisiciplinare di Psicologia di Prato, il mese del benessere. Si tratta di un servizio gratuito, gestito da psicologi, psicoterapeuti e mediatori familiari, che collaborano in sinergia da diversi anni per offrire ai cittadini aiuto concreto e multidisciplinare. E’ rivolto a tutti coloro stanno affrontando un problema, vivendo un disagio o attraversando una fase particolarmente complessa della propria vita e che non si sono mai avvicinati alla psicoterapia per motivi di costi o disinformazione. Poiché oggi i cambiamenti sociali portano la persona a confrontarsi sempre di più con vissuti di solitudine, isolamento, ricerca di emozioni forti, scarsi riferimenti di valori, timori ad affrontare i cambiamenti e confusione di riferimenti sociali, il Centro Multidisciplinare di Psicologia di Prato ha deciso di aprire uno sportello di ascolto, di orientamento sociale e psicologico, che sarà attivo ogni sabato dalle ore 10 alle ore 12 in via Banchelli 62, per tutto il mese di novembre 2017. L’accesso allo sportello è gratuito e non necessita di appuntamento.

Per ulteriori informazioni:

TEL: 334 9433805
MAIL: INFO@CENTROPSICOLOGIAPRATO.IT

A LEZIONE DI PESO-FORMA: TECNICHE DI CONSAPEVOLEZZA CORPOREA

A LEZIONE DI PESO-FORMA: TECNICHE DI CONSAPEVOLEZZA CORPOREA

Dott.ssa Francesca Denaro

 

 

Un nuovo evento sta per iniziare presso il nostro centro!

Si tratta di otto incontri serali in cui verranno trattate tematiche sull’alimentazione sana ed equilibrata attraverso attività pratiche ed esercizi di consapevolezza corporea.

Gli otto incontri rappresentano un viaggio all’interno del quale si scopriranno i segreti per rimanere in forma e in salute senza rinunciare al gusto e ai piaceri della buona tavola.

Dalle basi fisiologiche del metabolismo ai consigli pratici per fare la spesa al supermercato, fino alla costruzione di una propria dieta personalizzata.

Non mancheranno interventi pratici sul riconoscimento delle sensazioni del nostro corpo come la fame e le emozioni ad essa connesse, e su come imparare a mantenere viva la motivazione che sta alla base del comportamento alimentare.

Le lezioni avranno luogo presso il Centro Multidisciplinare di Psicologia in via Banchelli, 62. Saranno condotte dalla d.ssa Denaro Francesca e dalla collaboratrice d.ssa Cudia Valentina, dietista.

Il corso avrà inizio mercoledì 15 Novembre 2017 come il seguente calendario:

mer 15/11

mer 22/11

mer 29/11

mer 06/12

mer 13/12

mer 20/12

mer 27/12

ven 12/01/18

L’orario di svolgimento è dalle ore 21.00 alle 22.30.

Per info e prenotazioni potete contattare telefonicamente il num.3274267894 d.ssa Denaro.

Il corso ha un costo di 190,00 euro con un’agevolazione per le prime 5 iscrizioni.

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IL VALORE DELLE CAREZZE

Il valore delle carezze

Dott.ssa Georgia Menici

Quando parliamo di carezze ci riferiamo al concetto di Stroke sviluppato da Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, che le definì l’unità-base del legame e del riconoscimento umano. La “carezza” è più di un semplice contatto, è ciò di cui ci serviamo per dar forma ed alimentare una progressiva costruzione e maturazione dell’Io con l’altro e tramite l’altro, in un rapporto che possiamo pensare di scambio e reciprocità relazionale in un sistema aperto di sviluppo. Per l’essere umano il bisogno di riconoscimento è fondamentale, perché significa che esistiamo, ed è per questo che le carezze sono così importanti, sono necessarie ed essenziali per la nostra crescita. Le Carezze sono qualsiasi gesto, parola, comportamento, che dimostrano che gli altri si accorgono di noi e che noi ci accorgiamo di loro. Esistono vari tipi di carezze ( verbali e non verbali): carezze positive, chiamate da Claude Steiner, allievo di Berne, “caldomorbidi” come le lodi o le espressioni di apprezzamento, vicinanza, intimità e che danno a chi le riceve la sensazione di essere “OK”. Alla base di queste vi sono il permesso al contatto ed il libero scambio delle risorse affettive, necessarie per una buona alfabetizzazione emotiva e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Poi ci sono carezze negative, “freddoruvidi”, che sono forme di riconoscimento sgradevoli o dolorose, come il sarcasmo, l’umiliazione, uno schiaffo, un insulto e fanno sentire “non ok” chi le riceve; tuttavia, anche se non piacevoli, sono pur sempre una forma di riconoscimento. Questo è il motivo per cui una persona preferisce carezze negative piuttosto che nessuna carezza e spiega perché alcune persone instaurano certi tipi di relazioni ‘distruttive’, non perché vogliono “farsi del male,” ma perché non riescono ad avere un riconoscimento positivo e preferiscono carezze negative dolorose piuttosto che stare senza carezze. Tuttavia, si può imparare a scambiarsi carezze liberamente, ad aprire il proprio cuore, a dare e chiedere carezze senza vergogna né imbarazzo.

Il “caldomorbido” ed il “freddoruvido”, possono costituire la metafora di esperienze sensoriali primarie collegate con il piacere e il sentirsi sicuri da un lato, e il senso di lontananza e di deprivazione affettiva dall’altro. Le carezze ci riportano anche alla centralità della sensorialità tattile: nella storia di ciascuno di noi il tatto è il senso più antico, presente a partire dall’esperienza endouterina fin dal secondo mese di gestazione ed il contatto e lo scambio tra il corpo del bambino e il corpo della madre costituiscono l’esperienza relazionale primaria.

A proposito dell’importanza di dare e ricevere carezze vorrei farvi conoscere una favola, scritta nel 1969 da Steiner. Quando pensiamo alle favole pensiamo subito al mondo dei bambini, invece le favole non sono solo per i più piccoli…anzi, questa in particolare ha un chiaro messaggio rivolto al mondo adulto; Steiner ha infatti voluto porre l’attenzione sui sistemi di relazione sociale, che lui vorrebbe improntati maggiormente alla fiducia e alla cooperatività. La favola dei Caldomorbidi situa infatti nella relazione le radici e la linfa dello sviluppo e i pilastri dell’identità personale: è la relazione rispettosa, calda e diretta con gli altri che ci permette di crescere. Questa favola è una metafora del bisogno umano di contatto ed è un utile strumento per una prima alfabetizzazione sulle emozioni e sulla comunicazione. In questa favola si riscopre la legittimità e il piacere dell’espressione autentica dei propri bisogni, della comunicazione diretta e dell’intimità, l’importanza del permesso di guardare oltre le paure e lasciarsi guidare dal proprio desiderio.

La favola è a finale aperto, come del resto la vita.

La favola dei caldomorbidi

C’era una volta un luogo, molto, molto, molto tempo fa, dove vivevano delle persone felici. Fra queste persone felici ve n’erano due che avevano per nome Luca e Vera. Luca e Vera vivevano con i loro due figli Elisa e Marco.

Per poter comprendere quanto erano felici dobbiamo spiegare come erano solite andare le cose in quel tempo e in quel luogo.

Vedete, in quei giorni felici, quando un bimbo nasceva trovava nella sua culla, posto vicino a dove appoggiava il suo pancino, un piccolo, soffice e caldo sacchetto morbido. E quando il bambino infilava la sua manina nel sacchetto, poteva sempre estrarne un… “caldomorbido”.

I caldomorbidi in quel tempo erano molto diffusi e richiesti perché in qualunque momento una persona ne sentisse il bisogno poteva prenderne uno e subito si sentiva calda e morbida a lungo.

Se per qualche motivo la gente non avesse preso con una certa regolarità dei caldomorbidi, avrebbe corso il rischio di sviluppare dentro una strana e rara malattia. Era una malattia che partiva dalla spina dorsale e che lentamente portava la persona ad incurvarsi, ad appassire e poi a morirne.

In quei giorni era molto facile avere dei caldomorbidi e si incontrava sempre qualcuno che ne chiedeva e qualcuno che ne dava volentieri. Quando uno, cercando nel suo sacchetto, tirava fuori un caldomorbido, questo aveva la dimensione di un piccolo pugno di bambina ed un colore caldo e tenero. E subito, vedendo la luce del giorno, questo sorrideva e sbocciava in un grande e vellutato caldomorbido.

E quando veniva posto sulla spalla di una persona, o sulla testa, o sul petto, e veniva accarezzato, piano piano si scioglieva, entrava nella pelle, e permetteva subito alla persona di sentirsi bene e a lungo.

La gente in quel tempo si frequentava molto e si scambiava reciprocamente caldomorbidi. Naturalmente erano sempre gratis ed averne a sufficienza non era mai un problema.

Come dicevamo poc’anzi, con tutta questa abbondanza di caldomorbidi, in questo paese tutti erano felici e contenti, caldi e morbidi, la maggior parte del tempo.

Ma, un brutto giorno, una strega cattiva che viveva da quelle parti si arrabbiò, perché, essendo così tutti felici e contenti, nessuno comprava le sue pozioni e i suoi unguenti.

A questo punto la strega, che era molto intelligente, studiò un piano diabolico.

In una bella mattina di primavera, mentre Vera giocava serena in un prato coi bambini, avvicinò Luca e gli sussurrò all’orecchio:

Guarda Luca, guarda Vera come sta sprecando tutti i caldomorbidi che ha, dandoli a Elisa. Sai, se Elisa se li prende tutti, può darsi che a lungo andare non ne rimanga più nessuno per te”.

Luca rimase a lungo soprappensiero. Poi si voltò verso la strega e disse:

“Intendi dire che può darsi che non troveremo più un caldomorbido nel nostro sacchetto tutte le volte che lo cercheremo?”.

E la strega rispose: “No, assolutamente no. Quando saranno finiti, saranno finiti. E non ne avrai assolutamente più”.

Detto questo volò via sghignazzando fra sé.

Luca fu molto colpito da quanto aveva detto la strega e da quel momento cominciò ad osservare e a ricordare tutti i momenti in cui Vera dava caldomorbidi a qualcun altro.

Da quel momento cominciò ad essere timoroso e turbato perché gli piacevano i caldomorbidi di Vera e non voleva proprio rimanere senza. E pensava pure che Vera non facesse una cosa buona dando tutti quei caldomorbidi ai bambini e alle altre persone.

Cosi cominciò ad intristirsi tutte le volte che vedeva Vera dare un caldomorbido a qualcun altro. E poiché Vera gli voleva molto bene, essa smise dì dare così spesso caldomorbidi agli altri, riservandoli invece per lui.

I bambini, vedendo questo, cominciarono naturalmente a pensare che fosse una cattiva cosa dar via caldomorbidi a chiunque ed in qualsiasi momento venissero richiesti o si desiderasse farlo e, piano piano, senza quasi nemmeno accorgersene, diventarono sempre più timorosi di perdere qualcosa.

Così anch’essi divennero più esigenti. Tennero d’occhio i loro genitori e quando vedevano che uno di loro dava un caldomorbido all’altro anche loro impararono ad intristirsi. E così anche i loro genitori se ne davano sempre di meno e di nascosto perché così pensavano che non li avrebbero fatti soffrire.

Sappiamo bene come sono contagiosi i timori. Infatti, ben presto queste paure si sparsero in tutto il paese e sempre meno ci si scambiava caldomorbidi.

Nonostante ciò le persone potevano comunque sempre trovare un caldomorbido nel loro sacchetto tutte le volte che lo cercavano, ma essi cominciarono a cercare sempre meno, diventando intanto sempre più avari.

Presto la gente cominciò a sentire mancanza di caldomorbidi e iniziò così a sentire meno caldo e meno morbido. Poi qualcuno di loro cominciò ad incurvarsi e ad appassire e talvolta la gente persino moriva. Quella malattia, dovuta alla mancanza dì caldomorbidi, che prima della venuta della strega era molto rara, ora colpiva sempre più spesso.

E sempre più la gente andava ora dalla strega per comprare pozioni e unguenti, ma, nonostante ciò, non aveva l’aria di star meglio.

Orbene, la situazione stava diventando di giorno in giorno più seria. A pensarci bene la strega cattiva in realtà non desiderava che la gente morisse (infatti pare che i morti non comprino balsami e pozioni), così cominciò a studiare un nuovo piano. Fece distribuire gratuitamente a ciascuno un sacchetto in tutto simile al sacchetto dei caldomorbidi eccetto che per il fatto che questo era freddo mentre l’altro era caldo. Dentro il sacchetto della strega infatti c’erano i “freddoruvidi”. Questi freddoruvidi non facevano sentire la gente calda e morbida ma la facevano sentire fredda e ruvida. Comunque fosse, i freddoruvidi un effetto ce l’avevano: impedivano infatti che la schiena della gente si incurvasse più di tanto e, anche se sgradevoli, servivano a tenere in vita le persone che abitavano in questo luogo che una volta era stato felice.

Così tutte le volte che qualcuno diceva: “Desidero un caldomorbido”, la gente che era arrabbiata e spaventata per il loro rarefarsi, rispondeva: “Non ti posso dare un caldomorbido, gradisci però un freddoruvido?”.

E a volte capitava anche che due persone che passeggiavano insieme pensavano che avrebbero potuto scambiarsi dei caldomorbidi, ma una o l’altra delle due, aspettando che fosse l’altra ad offrirglielo, finiva poi per cambiare idea, ed essi finivano per scambiarsi dei freddoruvidi.

Stando così le cose ormai sempre meno gente moriva di quella malattia, ma un sacco di persone erano sempre infelici e sentivano molto freddo e molto ruvido.

E’ inutile dire che questo fu un periodo d’oro per gli affari della strega.

La situazione si complicava ogni giorno di più. I caldomorbidi che una volta erano disponibili come l’aria divennero una cosa di grosso valore e questo fece sì che la gente fosse disposta ad ogni sorta di cose pur di averne. In certi casi i caldomorbidi venivano estorti con un po’ d’inganno, in altri con un po’ di violenza e quando questo avveniva succedeva una cosa strana, che non sorridevano più e s’illuminavano poco a poco e di un colore amaro.

Prima che la strega facesse la sua apparizione la gente usava stare in gruppi di tre o di quattro o anche di cinque persone senza minimamente preoccuparsi di chi fosse a dare i caldomorbidi. Dopo la venuta della strega la gente cominciò a tenere per sé tutti i propri caldomorbidi, e a darli al massimo ad un’altra persona. Qualche volta succedeva che quelli che davano a persone esterne dei caldomorbidi si sentivano in colpa perché pensavano che il proprio partner molto probabilmente ne sarebbe stato dispiaciuto e geloso. E quelli che non avevano trovato un partner sufficientemente generoso andavano a comprare i loro caldomorbidi e questo gli costava molte ore di lavoro per racimolare il denaro.

Un’altra cosa sorprendente ancora succedeva. Alcune persone prendevano i freddoruvidi, che si trovavano facilmente e gratuitamente, li camuffavano ad arte con un apparenza piacevole e morbida e li spacciavano per caldomorbidi. Questi caldomorbidi contraffatti venivano chiamati caldomorbidi di plastica e finirono per procurare guai maggiori.

Per esempio, quando due persone si volevano scambiare reciprocamente dei caldomorbidi pensavano, è ovvio, che si sarebbero sentiti bene, ma in realtà succedeva che nulla cambiava e continuavano a sentirsi come prima e forse anche un pochino peggio. Ma poiché pensavano in buona fede di essersi scambiati dei caldomorbidi genuini, rimanevano molto confusi e disorientati, non comprendendo che il loro freddo e le loro sensazioni sgradevoli erano in realtà il risultato del fatto che si erano scambiati caldomorbidi di plastica.

Così la situazione peggiorava di giorno in giorno.

I caldomorbidi erano sempre più rari e, a volte, anche guardati con sospetto, perché si confondevano con quelli di plastica, contraffatti. I freddoruvidi erano abbondanti e sgradevoli e tutti pareva volessero regalarli agli altri. C’era molta tristezza, paura e diffidenza e tutto questo era iniziato con la venuta della strega, che aveva convinto le persone che a forza di scambiarsi caldomorbidi un giorno non lontano avrebbero potuto cercare nel proprio sacchetto caldo e scoprire che erano finiti.

Passò ancora del tempo ed un giorno una graziosa e florida donna nata sotto il segno dell’Acquario giunse in quel paese sfortunato portando il suo sorriso limpido e caldo.

Essa non aveva mai sentito parlare della strega cattiva e non nutriva alcun timore che i suoi caldomorbidi finissero. Li dava liberamente anche quando non erano chiesti. Molti la disapprovavano perché pensavano che fosse sconveniente che i bambini vedessero queste cose e temevano dei guasti nella loro educazione

Ma essa piacque molto ai bambini, tanto che la circondavano in ogni momento. Ed anche loro cominciarono a provare gusto nel dare agli altri caldomorbidi quando gliene veniva voglia. I benpensanti corsero ben presto ai ripari facendo approvare una legge per proteggere i bambini da un uso spregiudicato di caldomorbidi. Per questa legge era un crimine punibile dare caldomorbidi ad altri che non alla persona per cui si aveva avuta la licenza. E per maggiore garanzia queste licenze di darsi caldomorbidi si potevano avere per una sola persona e spesso duravano tutta la vita.

Molti bambini comunque fecero finta di non conoscere la legge e in barba a questa continuarono a dare ad altri caldomorbidi quando ne avevano voglia o quando qualcuno glieli chiedeva. E poiché c’erano molti, molti bambini… così tanti forse quanto i benpensanti… cominciò ad apparire chiaro che la cosa era molto difficile da contenere.

A questo punto sarebbe interessante sapere come andò a finire. Riuscì la forza della legge e dell’ordine a fermare i bambini? Oppure furono invece i benpensanti a scendere a patti? E Luca e Vera, ricordando i giorni felici dove non c’era limite di caldomorbidi, ricominciarono a donarli ancora liberamente?

La ribellione serpeggiava ovunque nel paese e probabilmente toccò anche il luogo dove vivete. Se voi volete, ed io sono sicuro che voi vogliate, potete unirvi a loro a dare e chiedere caldomorbidi, e in questo modo diventare autonomi e sani senza più il rischio che la vostra spina dorsale si ripieghi soffrendo e possa appassire.

(Claude Steiner 1969)

Steiner C., a cura di C. Chiesa, La favola dei caldomorbidi, (2009)

Woollams S., Brown M, Analisi transazionale. Psicoterapia della persona e delle relazioni, Cittadella Ed. (1990)

Rivista ‘Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e scienze umane’, a cura di Evita Cassoni. “Intersoggettività. Processi di attaccamento” n° 50/2008.

LA VALENZA DELLA MUSICA IN ADOLESCENZA

LA VALENZA DELLA MUSICA IN ADOLESCENZA

Dott.ssa Irene Fabbri

Danzo al chiaro di luna e odo il battere dei tamburi

i campanelli alle mie gambe risuonano come stelle ammiccanti

le penne stormiscono come i venti che turbinano sulla prateria

le voci dei cantori, là vicino al tamburo, assomigliano al tuono

Io danzo sulle nuvole”

Questo passo tratto dal libro “Sai che gli alberi parlano?” e scritto da un ragazzo nativo americano, riassume in poche parole la capacità che possiede la musica, grazie alla sua valenza comunicativa di tipo simbolico, di “trasportarci” in luogo diversi, di creare uno spazio dove la persona può rifugiarsi. Nello stesso tempo la musica conforta, non ci fa sentire soli perché le note toccano le nostre corde più profonde. La musica parla per noi, parla di noi. Questo è ancora più vero per l’adolescente che in questo particolare momento di crescita e di ricerca, spesso incontra la solitudine, il sentirsi diverso, il sentirsi perduto. Ed ecco però che il giovane scopre il potere della musica che rende in molti casi possibile tollerare quel ritiro in se stessi che altrimenti talvolta sarebbe insopportabile. La musica, la canzone, hanno il ruolo di dar voce ad un disagio, di cantarlo, di parlare agli adolescenti. È il malessere di chi suona o di chi canta, ma è anche il loro.

L’adolescenza è l’età del cambiamento. Adolescere significa in latino crescere. L’immagine del trapezista che Erikson fornisce, ci permettere di vedere bene la precarietà sospesa ma anche lo slancio, di tale periodo evolutivo. Il giovane, come il trapezista, ha già lasciato il primo trapezio ma non ha ancora afferrato il secondo. La conquista graduale dell’autonomia e il superamento dei bisogni infantili di dipendenza sono fra i compiti complessi di questo periodo. L’adolescente ha urgenza di trasformare il suo mondo interno, particolarmente il suo mondo infantile arcaico, per sfuggire all’influenza dei genitori. Durante questo periodo di crescita i processi di pensiero vengono spesso espressi a livello corporeo, con una grave carenza della dimensione simbolica. In questa crisi di identità , l’adolescente non può che rivolgersi verso di sé, si guarda, si scruta attento ad ogni minima mutazione corporea ma non ha ancora gli strumenti per contattare il suo mondo interno. Le emozioni che prova possono assumere una forma talmente indefinita che rappresentano una minaccia dalla quale fuggire. Ecco che l’esperienza musicale può aiutarlo a contattare il suo mondo interno, a riconoscere gli elementi confusi che lo abitano. La musica in un contesto di cura acquisisce il valore di strumento per la conoscenza di sé. L’artista rende possibile l’ascolto di un disagio espresso solo in note o accompagnato a parole, disagio che parla di un malessere che è il suo ma che è anche quello giovanile.

Biografia

Amminiti M. (1991) “Rappresentazioni mentali e modelli operativi interni nell’adolescenza”, Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza, Vol. 57, n. 4-5-6, p. 561-570.

Erikson, E.H. (1968), Identity youth and crisis, W.W. Norton & Company, New York (trad. it.

Gioventù e crisi d’identità Armando Editore, Roma 1974)

Villa A. (2013) Pink Freud, psicoanalisi sulla canzone d’autore da Bob Dylan a Van De Sfroos”, ed Mimesis

Ricci Bitti P.(2009) Regolazione delle emozioni e arti-terapie, ed. Carocci

La fiaba di Cappuccetto Rosso: il passaggio dall’infanzia alla vita adulta

La fiaba di Cappuccetto Rosso: una riflessione sul film “In Compagnia dei lupi”

Dott.ssa Letizia D’Andrea

“….. non correre da sola dentro il bosco, non fermarti da sola per la strada, non devi mai fidarti dell’estraneo che si avvicina a te con gentilezza, la beltà s’accompagna alla leggerezza, il lupo assume le più strane forme, con l’ambigua parola che t’inganna, mai lui rivelerà i propri intenti: più dolce la sua lingua, più aguzzi i denti…” (Dal film “In Compagnia dei Lupi”)

Per un bambino ascoltare il racconto di una fiaba vuol dire sviluppare l’immaginazione e iniziare ad approcciarsi al mondo attraverso significati simbolici, traendo anche degli insegnamenti morali. Le fiabe si rifanno a storie narrate oralmente nell’antichità e vengono tramandate subendo durante i secoli modifiche e rifacimenti, in base alla cultura del luogo e al gusto dell’autore.

Fromm afferma che “popoli diversi creano miti e fiabe diversi, ma nonostante tutte queste differenze, hanno sempre un elemento in comune: sono tutti scritti e narrati nello stesso linguaggio, il linguaggio simbolico che esprime una verità psicologica comune”.

La pubertà è legata a canoni culturali e sociali, talvolta risulta più complessa per le ragazze che per i ragazzi, in quanto per esse diventa immediatamente evidente che i cambiamenti fisici sono premonitori di una serie di restrizioni imposte culturalmente al ruolo femminile.

La fiaba di Cappuccetto Rosso viene interpretata da Fromm come simbolo dell’avvenuta maturazione sessuale e come ammonimento rispetto ai pericoli del sesso.

Nel film in Compagnia dei lupi la storia è tratta dal libro “La camera di sangue” di Angela Carter, che è una raccolta di racconti nei quali la Carter dà rilettura delle maggiori fiabe, fra cui quella di Cappuccetto Rosso.

Quest’ultima è una fiaba, il cui messaggio portante è riconducibile a “non fidarti di nessuno, attenta a non abbandonare mai il sentiero”, ed in effetti nel film è la figura della nonna, che rappresenta gli stereotipi, a fare da “guida” alla piccola protagonista, ricordandole continuamente di non allontanarsi dal sentiero, di non fidarsi degli uomini e soprattutto di stare attenta alle belve col “pelo dentro”, intendendo metaforicamente il fatto che non tutto ciò che è pericoloso si palesa da principio come tale. Nel film Rosaleen, la protagonista, sogna di ritrovarsi in un antico villaggio immerso in un bosco abitato da lupi feroci e funghi giganti. Quando la sua insopportabile sorella viene attaccata e uccisa dal lupo, Rosaleen è mandata dalla nonna, un’anziana donna che vive sola dall’altra parte del bosco e che cerca di metterla in guardia dai pericoli della vita d’ogni giorno raccontandole storie raccapriccianti. La ragazza pur credendo ai racconti della nonna, vuole anche conoscere ed affrontare la realtà ed i suoi inevitabili pericoli: sa che non dovrà mai abbandonare il sentiero e sempre diffidare degli uomini, che sono più feroci dei lupi, ma decide di non seguire le sagge parole dell’anziana che le sconsiglia principalmente le frequentazioni con il sesso opposto. Affascinata dal rischio e dalla trasgressione, nel prosieguo della storia, la ragazzina decide di abbandonare il sentiero già tracciato e sicuro per dirigersi verso le incertezze delle scorciatoie che conducono nell’oscurità del bosco. Nel bosco incontra un ragazzo affascinante con il quale fa una scommessa. A sua insaputa il giovane arriva prima di lei e uccide la nonna. Egli, che è un lupo travestito, le dirà di bruciare la mantellina rossa regalatele dalla nonna dicendole che “non ne avrà più bisogno”. Nel finale, contrariamente alla favola proposta dai fratelli Grimm o dove il lupo muore ucciso, c’è la riconciliazione tra la sessualità maschile e quella femminile, con la stessa Rosaleen che, dopo aver bruciato la sua mantellina rossa, si trasforma in lupa rappresentando così il passaggio alla maturità sessuale. Il lupo infatti, rappresenta l’elemento istintuale: é la paura e l’attrazione che l’adolescente prova verso la sessualità.

Secondo Fromm la fiaba rappresenterebbe una “sorta di rappresaglia” del mondo femminile verso quello maschile, infatti viene raffigurato nel lupo il maschio violento e rapace: l’atto sessuale è quindi atto di violenza, che tuttavia ha l’irresistibile fascino del necessario. Quel fascino che porta Rosaleen a non seguire l’indicazioni della nonna e fare la scommessa con il giovane uomo “dalle sopracciglia congiunte” dal quale la nonna l’aveva messa in guardia.

Al suo risveglio, Rosaleen vedrà un lupo che entra dalla finestra della sua camera, mentre la camera da bambina, piena di soprammobili e giocattoli, viene distrutta, simboleggiando il fatto che per diventare adulti perdiamo l’innocenza dell’infanzia.

Per quanto riguarda il significato del Cappuccetto Rosso, secondo Fromm è un simbolo di mestruazioni, viene rivelato come simbolo di un’avvenuta maturazione sessuale, “la ragazzina di cui ascoltiamo le avventure è diventata una donna matura e si trova ora di fronte al problema del sesso”, l’immaturità psicologica pone la ragazzina in pericolo rispetto alla fascinazione della sessualità, “rischiando di venirne sommersa, anzi inghiottita”.

Bibliografia:

A. Carter “La compagnia dei lupi”, in: “La camera di sangue” Feltrinelli, 1979

E.Fromm “Il linguaggio dimenticato” Garzanti, 1973

A.Cresti “Cappuccetto Rosso ed Erich Fromm: il linguaggio ritrovato”, in: Atti del Convegno “Incontro con Erich Fromm”, Firenze Nov. 1986, Ed. Medicea, 1988.

Filmografia:

In compagnia dei lupi” Neil Jordan

Quali dipendenze da internet?

Quali dipendenze da internet?

Dott.ssa Flavia Pezzuoli

Ultimamente il tema dell’uso/abuso di internet da parte degli adolescenti sta prendendo sempre più spazio nelle riviste e giornali di larga distribuzione. Ma cosa si intende veramente per dipendenza da internet e come si struttura negli adolescenti di oggi?

Credo che prima di tutto sia necessario abbandonare posizioni “nostalgiche” ed anacronistiche. Esiste una linea di demarcazione importante tra un prima ed un dopo l’avvento della digitalizzazione: questa è l’epoca delle tecnologie, della rete ed è in questo contesto che sono nati e crescono gli attuali adolescenti. E’ anche un’epoca in cui il concetto di intimità e di esposizione sono più che mai difficili da comprendere e spesso confusi. Il “diario” non è più qualcosa che resta nel cassetto o al massimo letto dai compagni di classe; è uno spazio di facebook dove la lettura può essere estesa a centinaia, migliaia di persone. Per dirla con Daniele Silvestri “va di moda la sincerità ma solo quando è urlata alla televisione” (Sornione, 2011).

Tutti vincenti, tutti felici, tutti belli purché nello stesso modo. Ogni elemento può essere ritoccato (foto, volti, corpi,…), eliminato nei difetti e in tutto quello che non incontra il nostro ed altrui gradimento. Le dimensioni percepite dello spazio e del tempo sono fortemente cambiate: le cose, i luoghi, le persone sono raggiunge molto più velocemente e la sensazione è quella di un godimento immediato.

Fatta questa premessa di cornice, trovo interessante , in merito all’argomento proposto inizialmente, la puntualizzazione che riportano nel loro lavoro (2014) Lancini e Zanella : “sarebbe auspicabile un cambiamento terminologico: non limitarsi più al contrasto tra mondo reale e mondo virtuale, che connoterebbe quest’ultimo come un surrogato meno autentico del primo, ma provare a parlare di mondo reale e mondo digitale, esaltandone l’aspetto più tecnico”. La questione, quindi, non sta solo nei termini di “quanto” utilizzo viene fatto ma soprattutto di “quale”. Attualmente, con l’avvento degli smartphone, ognuno di noi è potenzialmente sempre connesso. L’utilizzo di alcune applicazioni di messaggistica (es; whatsapp) è ormai uscito da anni dal monopolio dei ragazzi e viene utilizzato dagli adulti (spesso in modalità altrettanto patologiche). In questo senso ha poco significato considerare il solo tempo di connessione come elemento patologico. Piuttosto è bene cercare di comprendere cosa il ragazzo cerchi sulla e dalla rete.

Trovo a riguardo estremamente interessante la classificazione presente in lettereatura, che propone la distinzione tra retomane per fuga e retomane per azione (Cantelmi et al. 2010).

  1. Nel primo gruppo possiamo descrivere quei ragazzi fortemente ritirati sul piano sociale, che vivono intensi sentimenti di vergogna che spesso li portano a forme più o meno gravi di reclusione domestica. Tendono a ritirarsi dalle forme della socialità comuni in adolescenza (scuola, sport, gruppi…) e spesso invertono i ritmi circadiani, dormendo di giorno e restando svegli la notte (Piotti, 2013). In particolare in questi casi è estermamente importante non passare attraverso una privazione della rete (“ora vado a casa e gli levo tutto!”). La rete rappresenta per il ragazzo una sorta di esoscheletro senza il quale crollerebbe senza struttura, a volte, nei casi più gravi, con veri e propri scompensi psicotici. Il processo terapeutico deve comporsi di una lenta e paziente fase iniziale di avvicinamento (a volte “a domicilio” quando la reclusione è totale) al (e poi nel) mondo del ragazzo per allearsi dall’interno, cercare di parlare un linguaggio che sia comprensibile e sviluppare una vicinanza che sia tollerabile. La tipologia di ragazzi che incontriamo nel nostro lavoro è più spesso di questo tipo, soprattutto maschi tra i 13 ed i 18 anni.

  1. Nel secondo gruppo troviamo invece tutti quei ragazzi che utilizzano la rete per sovra esporsi socialmente, che la utilizzano come un palco dal quale attirare sempre più attenzione (ad esempio quanti “mi piace” ottiene una determinata foto). Mettono in scena la loro fragilità narcisistica, in modo opposto ai ritirati sociali (si tratta comunque di due facce della stessa medaglia), attuano eclatanti agiti virtuali come ad esempio il sexting1 oppure il cyberbullismo dove la propria fragilità narcisitica viene spostata sull’altro e derisa prendendone illusoriamente le distanze. Questi ragazzi sono più difficilmente agganciabili soprattutto quando intercettano un sistema rispondente a queste richieste di rispecchiamento narcisitico e quindi di “successo”. Quando questo viene meno, la ferita è spesso molto grave e l’intervento psicologico deve essere tempestivo.

La questione della vergogna è estermamente cruciale per comprendere l’adolescenza contemporanea: da chi cerca di scomparire per non essere visto, a chi si illude di padroneggiarla ostentando spavalderia e pseudo-sicurezza (Pietropolli Charmet, 2008). La rete si presta benissimo a queste funzioni. Può essere la cortina dietro cui celare se stessi diventando altri: da un eroe dei giochi di ruolo ad un oggetto dei desideri che conosce e padroneggia seduzione e sessualità così come un brillante leader dello schernimento.

Bibliografia

Cantelmi et al. (2010) Avatar. Roma ed. Magi

Lancini M, Zanella, TM (2014) Disagnosi e Psicoterapia della Dipendenza da Internet. In: Adoloescenza e Psicoanalisi, anno IX – n. 1, pp. 27-45

Pietropolli Charmet, G. (2008) Fragile e Spavaldo. Ritratto dell’adolescente di Oggi. Editore Laterza

Piotti, A. (2013) Il Banco Vuoto. Diario di un Adolescente in Estrema Reclusione. Franco Angeli

1Il sexting, divenuto una vera e propria moda fra i giovani, consiste principalmente nello scambio di messaggi sessualmente espliciti e di foto e video a sfondo sessuale, spesso realizzate con il telefono cellulare, o nella pubblicazione tramite via telematica, come chat, social network e internet in generale, oppure nell’invio di semplici mms. Tali immagini, anche se inviate a una stretta cerchia di persone, spesso si diffondono in modo incontrollabile e possono creare seri problemi alla persona ritratta nei supporti foto e video.

I ricordi “intrappolati” e il metodo EMDR

I ricordi “intrappolati” e il metodo EMDR

Dott.ssa Elena Canicattì

Ascoltando le diverse storie dei miei pazienti la domanda che spesso mi sono sentita rivolgere è stata: “perché se questa cosa mi è successa tanto tempo fa continua ancora a tormentarmi”? Per rispondere alla domanda, dobbiamo sapere che il nostro corpo possiede diversi meccanismi fisiologici che hanno il compito di condurci verso la guarigione. Questo significa che tutte le volte che attraversiamo dei momenti di crisi e di sofferenza emotiva il nostro cervello cerca di elaborare questa esperienza nel modo più adattivo e funzionale possibile. Purtroppo, potrebbe anche succedere che l’evento in questione abbia un impatto estremamente potente sulla nostra vita per svariati motivi e che quindi il nostro cervello non riesca ad elaborare del tutto l’evento. Quando questo accade, tutte le informazioni relative all’episodio vengono “intrappolate” nella memoria senza essere elaborate, racchiudendo gli odori, i sentimenti, i pensieri e le sensazioni corporee relative a quel ricordo. A quel punto, quel ricordo, chiamato “ ricordo traumatico” resterà separato dalle reti mnestiche in una sorta di rete isolata che non ha alcun accesso ad altri tipi di ricordi sia passati che recenti. In qualsiasi momento potrebbe succedere che uno stimolo esterno attuale riattivi il contenuto della rete isolata e questo potrebbe far rivivere quelle sensazioni sperimentate nel passato con un’intensità emotiva non appropriata all’evento attuale. Pensiamo per esempio ad una persona in preda ad un attacco d’ansia di fronte ad un cane di piccola taglia, in questo caso, si sta riattivando la rete in cui è intrappolato il ricordo del morso di un cane di quando aveva 6 anni. Spesso le persone non riescono a collegare il loro attacco di panico o il loro stato d’ansia all’evento attuale, che viene considerato da un punto di vista razionale, assolutamente innocuo, proprio perché a livello cognitivo la persona sa benissimo che non è lo stesso cane e che sono passati tanti anni da quell’evento.

L’EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è un trattamento per le conseguenze delle esperienze traumatiche e si è dimostrato efficace per l’elaborazione di traumi di diversa natura. Durante l’elaborazione del ricordo è necessario che la persona si concentri parallelamente sul passato e sul qui e ora e che entrambi gli emisferi celebrali prendano parte all’elaborazione. Per creare questa connessione tra emisfero destro e sinistro si utilizzano diversi metodi come per esempio i movimenti oculari attraverso una stimolazione bilaterale alternata o differenti suoni ad intermittenza all’orecchio destro e sinistro per facilitare e accelerare la desensibilizzazione e l’elaborazione di eventi traumatici disturbanti. Durante l’elaborazione del ricordo traumatico si invita il paziente a lasciare che la sua mente vada liberamente, limitandosi ad osservare quello che sta succedendo senza nessun controllo. Le associazioni che via via si creeranno durante l’elaborazione lo condurranno in avanti o indietro nel tempo, facendo emergere nuovi elementi e differenti visioni di se stesso o di altri. Via via che il ricordo verrà elaborato la persona sentirà l’evento sempre meno disturbante, fino a non provare più alcun fastidio.

Il lavoro con l’EMDR prevede quindi la rielaborazione di tutte quelle esperienze angoscianti legate alla storia della persona ma anche il potenziamento delle capacità personali e delle risorse individuali per fronteggiare le sfide della vita quotidiana con serenità e sicurezza, senza sentirsi in balia dei propri sintomi.

Report SEMINARIO SUL GIOCO D’AZZARDO CONDOTTO DAL PROF. ROBERT LADOUCEUR – Firenze 2014

Report SEMINARIO SUL GIOCO D’AZZARDO CONDOTTO DAL

PROF. ROBERT LADOUCEUR – Firenze 2014

Dott.ssa Elena Dolfi

Definizione e Criteri Diagnostici- Per la diagnosi di Gioco d’Azzardo Patologico si utilizzano i criteri del DSM IV.

Il DSM IV colloca il Gioco D’Azzardo tra i Disturbi del Controllo degli Impulsi non classificati altrove, ossia tra quei disturbi caratterizzati da incapacità di resistere ad un impulso, ad un desiderio impellente o alla tentazione di compiere una certa azione, anche pericolosa. Per fare diagnosi di Gioco d’Azzardo Patologico è necessario soddisfare almeno 5 dei seguenti  criteri:

1. È eccessivamente assorbito dal gioco (esempio: è eccessivamente assorbito nel rivivere esperienze passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare)

2. Ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata

3. Ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre o interrompere il gioco d’azzardo

4. È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo

5. Gioca d’azzardo per sfuggire i problemi o per alleviare un umore disforico (esempio: sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione)

6. Dopo aver perso al gioco spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite)

7. Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo

8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo

9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo

10.Fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo.

Nella nuova versione del manuale DSM V, troviamo alcune differenze significative rispetto alla versione precedente:

– il Disturbo da gioco d’Azzardo (Gambling Disorder) viene collocato nei Disturbi correlati alle sostanze, in particolare tra i disturbi da Dipendenza senza Sostanze

– viene eliminato il criterio relativo al commettere reati

– viene richiesta la presenza, nell’arco di 12 mesi, di 4 e più di questi criteri anziché 5.

Si parla di gioco d’azzardo quando:

1. i giocatori scommettono denaro o altri oggetti di valore;

2. la posta, una volta piazzata, non può essere ritirata;

3. il risultato del gioco è basato sul caso

Il Poker, non rientra al 100% in questa categoria perché non è determinato per il 100% dal caso, richiede un parte di competenze e per questo è un gioco al limite. Attraverso una pratica assidua nell’esercizio del gioco e il relativo sviluppo di abilità , migliorano le prestazioni.

Il prerequisito necessario per parlare di gioco d’azzardo è il fatto che ci sia la possibilità di vincere dei soldi. Tutti i giochi d’azzardo se non avessero questa requisito, sarebbero molto noiosi.

Concetti Chiave – Studi dimostrano che mentre si gioca, ci si “DIMENTICA” che il gioco è basato sul caso; è difficile per un giocatore ammettere che non sto vincendo grazie alle mie competenze personali.

Un risultato significativo confermato da più studi indipendenti condotti in tutto il mondo, tra diversi tipi di giocatori d’azzardo e su varie tipologie di gioco, è che la maggior parte dei giocatori ha una

PERCEZIONE ERRONEA DEL CONCETTO DI CASO.

Se analizziamo cosa pensano i giocatori mentre giocano, ci accorgiamo che il 70-85% dei loro monologhi interiori sono completamente errati, sono basati su convinzioni erronee, tutte diverse ma che hanno un denominatore comune: essi persistono nel commettere il consistente ERRORE di

ASSOCIARE EVENTI PRECEDENTI INDIPENDENTI NEL PREVEDERE L’ESITO DEL GIOCO (che il giocatore ritiene essere vincente).  Il gioco d’azzardo è l’unica attività umana dove il prendere in considerazione eventi passati, per prevedere quelli futuri, è un ERRORE. Correggere questa percezione erronea appare essere un fattore essenziale nella prevenzione e nel trattamento del gioco d’azzardo eccessivo, lavorando con i pazienti nell’insegnargli che la connessione è automatica e tende a crescere.

I giochi d’azzardo sono numerosi, ma tutti hanno le stesse tre caratteristiche sopra evidenziate. Ciò che cambia è la “confezione” esteriore dei giochi stessi allo scopo di attirare tipologie di giocatori diversi. Prendiamo ad esempio in considerazione il gioco della lotteria. Vi sono tre tipi di lotteria: le “lotterie passive”, dove il numero è già stampato sul tagliando, le “lotterie pseudo-attive” dove il giocatore sceglie la propria serie di numeri da giocare e le “lotterie istantanee”, in cui il giocatore scopre se ha vinto grattando un biglietto. Per il fatto di consentire al giocatore di scegliere i propri numeri, questi giocatori assumono certamente un ruolo più attivo aumentando sia il loro coinvolgimento in esso, sia la loro illusione al controllo, eppure, da un punto di vista strettamente oggettivo, il fatto di scegliere i propri numeri non aumenta in alcun modo le loro probabilità di vincere dal momento che ogni estrazione è INDIPENDENTE DALLE PRECEDENTI. Anche la complessità apparente dei giochi stimola il giocatore patologico a pensare di poter influire direttamente sull’andamento del gioco.
Le persone sono incapaci di tenere in considerazione l’indipendenza degli eventi, e questo è l’elemento più importante per comprendere la dinamica del gioco d’azzardo, e in special modo la dinamica del gioco d’azzardo eccessivo. Si pensa ad esempio nel gioco del lotto che all’aumentare del numero delle estrazioni, un numero che non esce da un certo periodo (“numero ritardatario”) abbia più probabilità di uscire di uno qualsiasi degli altri: questo pensiero è erroneo, in quanto esso ha le medesime probabilità di uscita che sono sempre 1 su 90. Allo stesso modo, si tende erroneamente a pensare che l’estrazione di una sequenza ordinata di numeri sia meno probabile di una disordinata. O infine che una “quasi vincita” (è uscito l’8 invece del 9 da noi giocato) significa essere arrivati vicino alla vincita. Questi errori di pensiero, che sostengono la tendenza a prevedere il risultato del gioco, sono stati classificati in tre categorie:

– il NON RICONOSCIMENTO dell’INDIPENDENZA delle PUNTATE

– l’ILLUSIONE del CONTROLLO

– le SUPERSTIZIONI

Comorbidità – Il rischio di sviluppare altre dipendenze nei giocatori patologici è 3-4 volte più elevato rispetto alla popolazione generale. Il 30-40% dei giocatori che chiedono aiuto per un problema di gioco d’azzardo hanno anche un problema alcol correlato. Inoltre nei pazienti che sono in trattamento per un problema di sostanze (alcol), la prevalenza del gioco patologico si innalza dal 4,5% al 10%.Per quanto concerne altri tipi di dipendenze (da sostanze) appare elevata la dipendenza da tabacco.
Iter del giocatore patologico – Il giocatore patologico vanta all’inizio della sua carriera una grossa vincita, guadagna facilmente soldi e aumenta le somme giocate, questa fase viene denominata, appunto, fase vincente. Il gioco a poco a poco diventa più che un’abitudine un vero e proprio stile di vita, fino a che non iniziano le prime preoccupazioni, i problemi economici, le menzogne. Il giocatore arriva così a sperimentare la fase perdente, in cui non riesce a sottrarsi al gioco, e in cui si rafforza la convinzione che continuando a giocare presto arriverà la grossa vincita che sistemerà tutto. La fase perdente viene identificata come tale dai familiari e dagli amici, ma non dal giocatore che, al contrario, definisce la sua situazione come un “momento di assenza di vincite”. Il gioco inizia in questa fase a condizionare profondamente la vita del giocatore, assorbe molte delle sue energie nell’intento di cercare del denaro da investire nella puntata risolutiva (fase di rincorsa delle vincite). Inizia ad avere seri problemi sul lavoro, negli affetti, il gioco arriva ad avere un ruolo di totale centralità nella sua vita. Questa situazione nel tempo sfocia nella cosiddetta fase della disperazione, in cui il giocatore ha perso tutto, si è indebitato, spesso ha commesso atti illegali per finanziare la sua attività.

Trattamento – Il giocatore, così come l’alcolista, nella maggior parte dei casi si rivolge ai servizi chiedendo aiuto su spinta dei familiari, la probabilità di abbandono nelle prime sedute è elevatissima.

Le ragioni che causano l’abbandono generalmente sono:

– il giocatore non è pronto per il trattamento (è nella fase di contemplazione)

– il giocatore è arrivato al servizio perché spinto da un familiare, non per sua convinzione e pertanto non è motivato.

Gli aspetti da tenere in considerazione nel giocatore che chiede aiuto sono: Impulsività, Comorbidità con alcol e altre droghe, Livelli di ansia e Piacere di giocare.

I fattori predittivi del Drop-out nel trattamento sono:

– Mancanza supporto esterno

– Nostalgia eccitazione che da il gioco

– Aspettativa di vincita per recuperare il denaro perso

Il clinico deve prestare attenzione a non schierarsi dalla parte dei familiari, a non ricreare un clima di sfiducia facendo sentire l’obbligo della terapia, deve piuttosto mettere delle premesse affinché il giocatore ritorni. E’ importante inoltre parlare al giocatore anche delle conseguenze negative del non giocare, non solo di quelle positive. Anche nel caso in cui il giocatore non aderisca al programma, è opportuno prevedere un PROGRAMMA PER I FAMILIARI.

Il lavoro mira a:

– ISTRUIRE il coniuge e gli altri familiari su alcuni concetti base dell’azzardo,

– FORNIRE INDICAZIONI rispetto ai comportamenti da adottare nei confronti del giocatore

Questo lavoro è molto più efficace se realizzato in gruppo.

I professionisti pensano che il fatto che il giocatore d’azzardo dovrebbe smettere è EVIDENTE, ma non dobbiamo dimenticarci che per il giocatore smettere di Giocare d’Azzardo significa:

– ACCETTARE e RICONOSCERE che i soldi che ha perso, li ha persi per sempre

– Dichiararsi sconfitto dal gioco (altri hanno vinto, lui ha perso)

– Dichiarare che ha perso anche un’attività importante per lui

– Smettere di pensare che la soluzione dei problemi è il gioco d’azzardo, ma ammettere che il gioco ora è il suo problema

– Pianificare una ristrutturazione finanziaria

– Lavorare per costruire nuove strategie di coping

Trappole cognitive – In un contesto terapeutico diventa indispensabile fare i conti con questa realtà per arrivare a creare DISSONANZA tra l’aspetto razionale e quello irrazionale/emotivo. E’ importante fare attenzione a non approcciarsi al giocatore ad un livello razionale, ad esempio cercando di dimostrargli che le probabilità di vincita sono indipendenti dal suo sistema, o dalle sue strategie, questo metterebbe il giocatore in una posizione di difesa, rafforzando la sua convinzione (pensiero magico).

Destrezza del giocatore – Il giocatore d’azzardo è vittima delle sue stesse convinzioni di destrezza.

Queste credenze rafforzano la percezione che egli ha di avere la maggiore sul fato, fino ad arrivare a negare in assoluto la “componente caso” e ad attribuire solo a se stesso il successo delle giocate. Molte ricerche dimostrano che l’avere un RUOLO ATTIVO nel gioco aumenta in maniera impressionante le somme di denaro giocate, il giocatore che lancia la pallina della roulette si sentire unico artefice della scommessa di vincita e pertanto punta somme più elevate, (si pensi anche alla consuetudine dei giocatori di casinò di appuntarsi i numeri usciti alla roulette su di un taccuino rendendosi attivi in una situazione di gioco passivo). Nel giocatore che ha un ruolo attivo nel gioco si rafforza la percezione di poter determinare il risultato, fino e spingerlo a pensare che esso non dipenda dal caso, ma solo dalle sue abilità. Attraverso tale distorsione cognitiva il giocatore è portato a considerare le situazioni casuali come controllabili. Frequenza di gioco e complessità – La tendenza comune dei giocatori d’azzardo patologici è di analizzare il gioco precedente: cosa è andato bene, casa male, cosa si è verificato di diverso nelle precedenti sedute di gioco; tutte queste informazioni minuziosamente analizzate vanno a costruire i pensieri premonitori, le consuetudini e le superstizioni che si radicano nella logica del giocatore. Il giocatore raccoglie numerose informazioni prima di ogni seduta di gioco, queste vanno dall’informarsi sulle capacità agonistiche del cavallo, al documentarsi dal gestore del bar su quale macchinetta da più tempo non paga…

Questa affannosa ricerca di informazioni utili per la giocata fanno sentire il giocatore esperto di quel gioco, documentato a dovere e pertanto più sicuro di vincere. Fortuna e Superstizione – I momenti in cui il giocatore d’azzardo perde vengono visti come momenti di “assenza di vincite”. I giocatori si reputano persone fortunate. Quando percepiscono questo stato d’animo in maniera più forte si sentono ispirati scommettono somme più elevate. Nel giocatore si radicano molte credenze, rituali e superstizioni che vengono mantenute e scrupolosamente osservate. Es. “Vinco sempre di più quando gioco la notte”, “vinco sempre di più quando gioco sulle macchinette di questa zona”, “cambio mano (del gioco), questo mi porta fortuna”. Il giocatore è convinto che scegliendo sempre lo stesso numero c’è maggiore possibilità di vincere. Es. “Mantengo sempre gli stessi numeri, finiranno per uscire”, “sono tre volte di seguito che perdo, quindi vincerò al prossimo giro”. L’obiettivo del terapeuta deve essere quello di instillare il dubbio nelle certezze che il paziente ha attraverso il confronto con esperienze fallimentari, non vincenti. Il lavoro deve quindi essere orientato a creare DISSONANZA tra esperienze attuali ed esperienze passate. Per fare questo tipo di lavoro, come già detto, è indispensabile lavorare in una situazione “a caldo”, in cui i pensieri erronei sono evidenti, non sempre è possibile creare tale situazione in un contesto terapeutico. Ricadute e Situazioni a Rischio – L’incidenza delle ricadute nel corso di un trattamento è molto alta. Dal punto di vista clinico la ricaduta è un’occasione per far sperimentare e consapevolizzare al paziente la sua fragilità rispetto all’attività di gioco. La ricaduta fa parte di un processo normale, è bene aspettarsela nel corso di un trattamento. Ricaduta non è indice di fallimento del lavoro svolto, Ladouceur per questa ragione preferisce parlare di SCIVOLAMENTO, dal quale ci si può rialzare e ripartire. Le situazioni a rischio per un giocatore in trattamento sono tra le più svariate:

– vedere una pubblicità, un servizio alla televisione o su un giornale che parla di corse, scommesse o altro

– vivere stati d’animo spiacevoli o emozioni negative (noia, collera, ecc.)

– aver vinto il giorno precedente

– aver perso il giorno precedente

– ricevere del denaro

– aver il pensiero dei conti da pagare

– venire a sapere che la macchina del bar “è piena”, oppure che corrono nuovi cavalli

– aver bevuto alcol

Le situazioni a rischio sono onnipresenti, il paziente deve allenarsi ad identificarle per tempo. Il giocatore è convinto delle sue capacità/abilità di gestione del gioco, è importante portarlo a dubitare di queste certezze. E’ importante lavorare sui processi cognitivi prima di attivare un INTERVENTO COMPORTAMENTALE. Il terapeuta deve responsabilizzare il paziente, spingerlo ad identificare delle strategie idonee e, attraverso una forma di allenamento, ad abbandonare gli errori cognitivi. Le STRATEGIE COMPORTAMENTALI che si possono mettere in atto per evitare rischi sono:

– individuare delle soluzioni alternative per sottrarsi alle situazioni a rischio

– far gestire il denaro a un familiare

– disattivare le carte di credito

– informare gli amici dell’intenzione di smettere di giocare, ecc.

– dare al paziente un ruolo attivo nella relazione terapeutica.

GENITORI DIGITALI (SI DIVENTA)

 

GENITORI DIGITALI

(si diventa)

 

 

Dott.ssa Flavia Pezzuoli

Psicologa Psicoterapeuta

 

 
RIFLETTERE SU COME GUIDARE LA VOSTRA FAMIGLIA NEL MONDO VIRTUALE ALLO STESSO MODO CHE NEL MONDO REALE

APPRENDETE ALCUNE DELLE TECNOLOGIE CON LE QUALI I VOSTRI FIGLI SI DIVERTONO

 
PARLATE CON I VOSTRI AMICI E CON LA FAMIGLIA SU COME AIUTANO I LORO RAGAZZI A UTILIZZARE IL MONDO DIGITALE: POTRETE APPRENDERE ALCUNI SUGGERIMENTI UTILI. CONFRONTATEVI CON I GENITORI DEGLI AMICI DEI VOSTRI FIGLI

 
CERCATE DI NON UTILIZZARE LA TECNOLOGIA COME FOSSE LA VOSTRA BABY SITTER. VA BENE QUALCHE VOLTA MA SUPERVISIONATE COSA FANNO I RAGAZZI!

 
NON TEMETE DI IMPORRE LIMITI E REGOLE, SPECIALMENTE PER I PIU’ PICCOLI
RENDETE LE QUESTIONI DIGITALI PARTE DELLA VITA QUOTIDIANA

 
MANTENETE IL DIALOGO MOSTRANDO DI COMPRENDERE QUANTO SIA IMPORTANTE LA TECNOLOGIA E RASSICURATELI SULLA POSSIBILITA’ DI CONFIDARVI QUALSIASI COSA LI TURBI NEL MONDO VIRTUALE

 
I RAGAZZI CI OSSERVANO:

DIAMO PER PRIMI IL BUON ESEMPIO!

 

NUTRIMENTE

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A volte per cambiare vita tutto quello che serve è cambiare direzione.

A volte per cambiare direzione tutto quello che serve è cambiare abitudini.

 

Nutrimente è un corso dedicato al raggiungimento del benessere fisico e mentale, mediante i principi di sana alimentazione e le strategie mentali utili per raggiungere e mantenere il benessere.

Durante i 6 incontri impareremo insieme come mangiare in modo sano e vivere in salute, trovando il giusto equilibrio tra mente e corpo.

 

Nutrimente è un ciclo di 6 incontri, condotti da:

Dott.ssa Elena Dolfi – Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Alina De Donatis – Biologa Nutrizionista

Il corso ha una durata di 6 settimane e si svolgerà presso

il Centro Multidisciplinare di Psicologiain Via Banchelli n° 62, Prato

 

 

    Si può mangiare sano ed essere felici!


Per informazioni e iscrizioni chiamare
:

Elena 339 7414634 elenadolfi@hotmail.it

Alina 3932157696 alina.dedonatis@gmail.com

 

Il corso verrà ripetuto periodicamente.