Quali dipendenze da internet?

Quali dipendenze da internet?

Dott.ssa Flavia Pezzuoli

Ultimamente il tema dell’uso/abuso di internet da parte degli adolescenti sta prendendo sempre più spazio nelle riviste e giornali di larga distribuzione. Ma cosa si intende veramente per dipendenza da internet e come si struttura negli adolescenti di oggi?

Credo che prima di tutto sia necessario abbandonare posizioni “nostalgiche” ed anacronistiche. Esiste una linea di demarcazione importante tra un prima ed un dopo l’avvento della digitalizzazione: questa è l’epoca delle tecnologie, della rete ed è in questo contesto che sono nati e crescono gli attuali adolescenti. E’ anche un’epoca in cui il concetto di intimità e di esposizione sono più che mai difficili da comprendere e spesso confusi. Il “diario” non è più qualcosa che resta nel cassetto o al massimo letto dai compagni di classe; è uno spazio di facebook dove la lettura può essere estesa a centinaia, migliaia di persone. Per dirla con Daniele Silvestri “va di moda la sincerità ma solo quando è urlata alla televisione” (Sornione, 2011).

Tutti vincenti, tutti felici, tutti belli purché nello stesso modo. Ogni elemento può essere ritoccato (foto, volti, corpi,…), eliminato nei difetti e in tutto quello che non incontra il nostro ed altrui gradimento. Le dimensioni percepite dello spazio e del tempo sono fortemente cambiate: le cose, i luoghi, le persone sono raggiunge molto più velocemente e la sensazione è quella di un godimento immediato.

Fatta questa premessa di cornice, trovo interessante , in merito all’argomento proposto inizialmente, la puntualizzazione che riportano nel loro lavoro (2014) Lancini e Zanella : “sarebbe auspicabile un cambiamento terminologico: non limitarsi più al contrasto tra mondo reale e mondo virtuale, che connoterebbe quest’ultimo come un surrogato meno autentico del primo, ma provare a parlare di mondo reale e mondo digitale, esaltandone l’aspetto più tecnico”. La questione, quindi, non sta solo nei termini di “quanto” utilizzo viene fatto ma soprattutto di “quale”. Attualmente, con l’avvento degli smartphone, ognuno di noi è potenzialmente sempre connesso. L’utilizzo di alcune applicazioni di messaggistica (es; whatsapp) è ormai uscito da anni dal monopolio dei ragazzi e viene utilizzato dagli adulti (spesso in modalità altrettanto patologiche). In questo senso ha poco significato considerare il solo tempo di connessione come elemento patologico. Piuttosto è bene cercare di comprendere cosa il ragazzo cerchi sulla e dalla rete.

Trovo a riguardo estremamente interessante la classificazione presente in lettereatura, che propone la distinzione tra retomane per fuga e retomane per azione (Cantelmi et al. 2010).

  1. Nel primo gruppo possiamo descrivere quei ragazzi fortemente ritirati sul piano sociale, che vivono intensi sentimenti di vergogna che spesso li portano a forme più o meno gravi di reclusione domestica. Tendono a ritirarsi dalle forme della socialità comuni in adolescenza (scuola, sport, gruppi…) e spesso invertono i ritmi circadiani, dormendo di giorno e restando svegli la notte (Piotti, 2013). In particolare in questi casi è estermamente importante non passare attraverso una privazione della rete (“ora vado a casa e gli levo tutto!”). La rete rappresenta per il ragazzo una sorta di esoscheletro senza il quale crollerebbe senza struttura, a volte, nei casi più gravi, con veri e propri scompensi psicotici. Il processo terapeutico deve comporsi di una lenta e paziente fase iniziale di avvicinamento (a volte “a domicilio” quando la reclusione è totale) al (e poi nel) mondo del ragazzo per allearsi dall’interno, cercare di parlare un linguaggio che sia comprensibile e sviluppare una vicinanza che sia tollerabile. La tipologia di ragazzi che incontriamo nel nostro lavoro è più spesso di questo tipo, soprattutto maschi tra i 13 ed i 18 anni.

  1. Nel secondo gruppo troviamo invece tutti quei ragazzi che utilizzano la rete per sovra esporsi socialmente, che la utilizzano come un palco dal quale attirare sempre più attenzione (ad esempio quanti “mi piace” ottiene una determinata foto). Mettono in scena la loro fragilità narcisistica, in modo opposto ai ritirati sociali (si tratta comunque di due facce della stessa medaglia), attuano eclatanti agiti virtuali come ad esempio il sexting1 oppure il cyberbullismo dove la propria fragilità narcisitica viene spostata sull’altro e derisa prendendone illusoriamente le distanze. Questi ragazzi sono più difficilmente agganciabili soprattutto quando intercettano un sistema rispondente a queste richieste di rispecchiamento narcisitico e quindi di “successo”. Quando questo viene meno, la ferita è spesso molto grave e l’intervento psicologico deve essere tempestivo.

La questione della vergogna è estermamente cruciale per comprendere l’adolescenza contemporanea: da chi cerca di scomparire per non essere visto, a chi si illude di padroneggiarla ostentando spavalderia e pseudo-sicurezza (Pietropolli Charmet, 2008). La rete si presta benissimo a queste funzioni. Può essere la cortina dietro cui celare se stessi diventando altri: da un eroe dei giochi di ruolo ad un oggetto dei desideri che conosce e padroneggia seduzione e sessualità così come un brillante leader dello schernimento.

Bibliografia

Cantelmi et al. (2010) Avatar. Roma ed. Magi

Lancini M, Zanella, TM (2014) Disagnosi e Psicoterapia della Dipendenza da Internet. In: Adoloescenza e Psicoanalisi, anno IX – n. 1, pp. 27-45

Pietropolli Charmet, G. (2008) Fragile e Spavaldo. Ritratto dell’adolescente di Oggi. Editore Laterza

Piotti, A. (2013) Il Banco Vuoto. Diario di un Adolescente in Estrema Reclusione. Franco Angeli

1Il sexting, divenuto una vera e propria moda fra i giovani, consiste principalmente nello scambio di messaggi sessualmente espliciti e di foto e video a sfondo sessuale, spesso realizzate con il telefono cellulare, o nella pubblicazione tramite via telematica, come chat, social network e internet in generale, oppure nell’invio di semplici mms. Tali immagini, anche se inviate a una stretta cerchia di persone, spesso si diffondono in modo incontrollabile e possono creare seri problemi alla persona ritratta nei supporti foto e video.

I ricordi “intrappolati” e il metodo EMDR

I ricordi “intrappolati” e il metodo EMDR

Dott.ssa Elena Canicattì

Ascoltando le diverse storie dei miei pazienti la domanda che spesso mi sono sentita rivolgere è stata: “perché se questa cosa mi è successa tanto tempo fa continua ancora a tormentarmi”? Per rispondere alla domanda, dobbiamo sapere che il nostro corpo possiede diversi meccanismi fisiologici che hanno il compito di condurci verso la guarigione. Questo significa che tutte le volte che attraversiamo dei momenti di crisi e di sofferenza emotiva il nostro cervello cerca di elaborare questa esperienza nel modo più adattivo e funzionale possibile. Purtroppo, potrebbe anche succedere che l’evento in questione abbia un impatto estremamente potente sulla nostra vita per svariati motivi e che quindi il nostro cervello non riesca ad elaborare del tutto l’evento. Quando questo accade, tutte le informazioni relative all’episodio vengono “intrappolate” nella memoria senza essere elaborate, racchiudendo gli odori, i sentimenti, i pensieri e le sensazioni corporee relative a quel ricordo. A quel punto, quel ricordo, chiamato “ ricordo traumatico” resterà separato dalle reti mnestiche in una sorta di rete isolata che non ha alcun accesso ad altri tipi di ricordi sia passati che recenti. In qualsiasi momento potrebbe succedere che uno stimolo esterno attuale riattivi il contenuto della rete isolata e questo potrebbe far rivivere quelle sensazioni sperimentate nel passato con un’intensità emotiva non appropriata all’evento attuale. Pensiamo per esempio ad una persona in preda ad un attacco d’ansia di fronte ad un cane di piccola taglia, in questo caso, si sta riattivando la rete in cui è intrappolato il ricordo del morso di un cane di quando aveva 6 anni. Spesso le persone non riescono a collegare il loro attacco di panico o il loro stato d’ansia all’evento attuale, che viene considerato da un punto di vista razionale, assolutamente innocuo, proprio perché a livello cognitivo la persona sa benissimo che non è lo stesso cane e che sono passati tanti anni da quell’evento.

L’EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è un trattamento per le conseguenze delle esperienze traumatiche e si è dimostrato efficace per l’elaborazione di traumi di diversa natura. Durante l’elaborazione del ricordo è necessario che la persona si concentri parallelamente sul passato e sul qui e ora e che entrambi gli emisferi celebrali prendano parte all’elaborazione. Per creare questa connessione tra emisfero destro e sinistro si utilizzano diversi metodi come per esempio i movimenti oculari attraverso una stimolazione bilaterale alternata o differenti suoni ad intermittenza all’orecchio destro e sinistro per facilitare e accelerare la desensibilizzazione e l’elaborazione di eventi traumatici disturbanti. Durante l’elaborazione del ricordo traumatico si invita il paziente a lasciare che la sua mente vada liberamente, limitandosi ad osservare quello che sta succedendo senza nessun controllo. Le associazioni che via via si creeranno durante l’elaborazione lo condurranno in avanti o indietro nel tempo, facendo emergere nuovi elementi e differenti visioni di se stesso o di altri. Via via che il ricordo verrà elaborato la persona sentirà l’evento sempre meno disturbante, fino a non provare più alcun fastidio.

Il lavoro con l’EMDR prevede quindi la rielaborazione di tutte quelle esperienze angoscianti legate alla storia della persona ma anche il potenziamento delle capacità personali e delle risorse individuali per fronteggiare le sfide della vita quotidiana con serenità e sicurezza, senza sentirsi in balia dei propri sintomi.

Report SEMINARIO SUL GIOCO D’AZZARDO CONDOTTO DAL PROF. ROBERT LADOUCEUR – Firenze 2014

Report SEMINARIO SUL GIOCO D’AZZARDO CONDOTTO DAL

PROF. ROBERT LADOUCEUR – Firenze 2014

Dott.ssa Elena Dolfi

Definizione e Criteri Diagnostici- Per la diagnosi di Gioco d’Azzardo Patologico si utilizzano i criteri del DSM IV.

Il DSM IV colloca il Gioco D’Azzardo tra i Disturbi del Controllo degli Impulsi non classificati altrove, ossia tra quei disturbi caratterizzati da incapacità di resistere ad un impulso, ad un desiderio impellente o alla tentazione di compiere una certa azione, anche pericolosa. Per fare diagnosi di Gioco d’Azzardo Patologico è necessario soddisfare almeno 5 dei seguenti  criteri:

1. È eccessivamente assorbito dal gioco (esempio: è eccessivamente assorbito nel rivivere esperienze passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare)

2. Ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata

3. Ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre o interrompere il gioco d’azzardo

4. È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo

5. Gioca d’azzardo per sfuggire i problemi o per alleviare un umore disforico (esempio: sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione)

6. Dopo aver perso al gioco spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite)

7. Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo

8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo

9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo

10.Fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo.

Nella nuova versione del manuale DSM V, troviamo alcune differenze significative rispetto alla versione precedente:

– il Disturbo da gioco d’Azzardo (Gambling Disorder) viene collocato nei Disturbi correlati alle sostanze, in particolare tra i disturbi da Dipendenza senza Sostanze

– viene eliminato il criterio relativo al commettere reati

– viene richiesta la presenza, nell’arco di 12 mesi, di 4 e più di questi criteri anziché 5.

Si parla di gioco d’azzardo quando:

1. i giocatori scommettono denaro o altri oggetti di valore;

2. la posta, una volta piazzata, non può essere ritirata;

3. il risultato del gioco è basato sul caso

Il Poker, non rientra al 100% in questa categoria perché non è determinato per il 100% dal caso, richiede un parte di competenze e per questo è un gioco al limite. Attraverso una pratica assidua nell’esercizio del gioco e il relativo sviluppo di abilità , migliorano le prestazioni.

Il prerequisito necessario per parlare di gioco d’azzardo è il fatto che ci sia la possibilità di vincere dei soldi. Tutti i giochi d’azzardo se non avessero questa requisito, sarebbero molto noiosi.

Concetti Chiave – Studi dimostrano che mentre si gioca, ci si “DIMENTICA” che il gioco è basato sul caso; è difficile per un giocatore ammettere che non sto vincendo grazie alle mie competenze personali.

Un risultato significativo confermato da più studi indipendenti condotti in tutto il mondo, tra diversi tipi di giocatori d’azzardo e su varie tipologie di gioco, è che la maggior parte dei giocatori ha una

PERCEZIONE ERRONEA DEL CONCETTO DI CASO.

Se analizziamo cosa pensano i giocatori mentre giocano, ci accorgiamo che il 70-85% dei loro monologhi interiori sono completamente errati, sono basati su convinzioni erronee, tutte diverse ma che hanno un denominatore comune: essi persistono nel commettere il consistente ERRORE di

ASSOCIARE EVENTI PRECEDENTI INDIPENDENTI NEL PREVEDERE L’ESITO DEL GIOCO (che il giocatore ritiene essere vincente).  Il gioco d’azzardo è l’unica attività umana dove il prendere in considerazione eventi passati, per prevedere quelli futuri, è un ERRORE. Correggere questa percezione erronea appare essere un fattore essenziale nella prevenzione e nel trattamento del gioco d’azzardo eccessivo, lavorando con i pazienti nell’insegnargli che la connessione è automatica e tende a crescere.

I giochi d’azzardo sono numerosi, ma tutti hanno le stesse tre caratteristiche sopra evidenziate. Ciò che cambia è la “confezione” esteriore dei giochi stessi allo scopo di attirare tipologie di giocatori diversi. Prendiamo ad esempio in considerazione il gioco della lotteria. Vi sono tre tipi di lotteria: le “lotterie passive”, dove il numero è già stampato sul tagliando, le “lotterie pseudo-attive” dove il giocatore sceglie la propria serie di numeri da giocare e le “lotterie istantanee”, in cui il giocatore scopre se ha vinto grattando un biglietto. Per il fatto di consentire al giocatore di scegliere i propri numeri, questi giocatori assumono certamente un ruolo più attivo aumentando sia il loro coinvolgimento in esso, sia la loro illusione al controllo, eppure, da un punto di vista strettamente oggettivo, il fatto di scegliere i propri numeri non aumenta in alcun modo le loro probabilità di vincere dal momento che ogni estrazione è INDIPENDENTE DALLE PRECEDENTI. Anche la complessità apparente dei giochi stimola il giocatore patologico a pensare di poter influire direttamente sull’andamento del gioco.
Le persone sono incapaci di tenere in considerazione l’indipendenza degli eventi, e questo è l’elemento più importante per comprendere la dinamica del gioco d’azzardo, e in special modo la dinamica del gioco d’azzardo eccessivo. Si pensa ad esempio nel gioco del lotto che all’aumentare del numero delle estrazioni, un numero che non esce da un certo periodo (“numero ritardatario”) abbia più probabilità di uscire di uno qualsiasi degli altri: questo pensiero è erroneo, in quanto esso ha le medesime probabilità di uscita che sono sempre 1 su 90. Allo stesso modo, si tende erroneamente a pensare che l’estrazione di una sequenza ordinata di numeri sia meno probabile di una disordinata. O infine che una “quasi vincita” (è uscito l’8 invece del 9 da noi giocato) significa essere arrivati vicino alla vincita. Questi errori di pensiero, che sostengono la tendenza a prevedere il risultato del gioco, sono stati classificati in tre categorie:

– il NON RICONOSCIMENTO dell’INDIPENDENZA delle PUNTATE

– l’ILLUSIONE del CONTROLLO

– le SUPERSTIZIONI

Comorbidità – Il rischio di sviluppare altre dipendenze nei giocatori patologici è 3-4 volte più elevato rispetto alla popolazione generale. Il 30-40% dei giocatori che chiedono aiuto per un problema di gioco d’azzardo hanno anche un problema alcol correlato. Inoltre nei pazienti che sono in trattamento per un problema di sostanze (alcol), la prevalenza del gioco patologico si innalza dal 4,5% al 10%.Per quanto concerne altri tipi di dipendenze (da sostanze) appare elevata la dipendenza da tabacco.
Iter del giocatore patologico – Il giocatore patologico vanta all’inizio della sua carriera una grossa vincita, guadagna facilmente soldi e aumenta le somme giocate, questa fase viene denominata, appunto, fase vincente. Il gioco a poco a poco diventa più che un’abitudine un vero e proprio stile di vita, fino a che non iniziano le prime preoccupazioni, i problemi economici, le menzogne. Il giocatore arriva così a sperimentare la fase perdente, in cui non riesce a sottrarsi al gioco, e in cui si rafforza la convinzione che continuando a giocare presto arriverà la grossa vincita che sistemerà tutto. La fase perdente viene identificata come tale dai familiari e dagli amici, ma non dal giocatore che, al contrario, definisce la sua situazione come un “momento di assenza di vincite”. Il gioco inizia in questa fase a condizionare profondamente la vita del giocatore, assorbe molte delle sue energie nell’intento di cercare del denaro da investire nella puntata risolutiva (fase di rincorsa delle vincite). Inizia ad avere seri problemi sul lavoro, negli affetti, il gioco arriva ad avere un ruolo di totale centralità nella sua vita. Questa situazione nel tempo sfocia nella cosiddetta fase della disperazione, in cui il giocatore ha perso tutto, si è indebitato, spesso ha commesso atti illegali per finanziare la sua attività.

Trattamento – Il giocatore, così come l’alcolista, nella maggior parte dei casi si rivolge ai servizi chiedendo aiuto su spinta dei familiari, la probabilità di abbandono nelle prime sedute è elevatissima.

Le ragioni che causano l’abbandono generalmente sono:

– il giocatore non è pronto per il trattamento (è nella fase di contemplazione)

– il giocatore è arrivato al servizio perché spinto da un familiare, non per sua convinzione e pertanto non è motivato.

Gli aspetti da tenere in considerazione nel giocatore che chiede aiuto sono: Impulsività, Comorbidità con alcol e altre droghe, Livelli di ansia e Piacere di giocare.

I fattori predittivi del Drop-out nel trattamento sono:

– Mancanza supporto esterno

– Nostalgia eccitazione che da il gioco

– Aspettativa di vincita per recuperare il denaro perso

Il clinico deve prestare attenzione a non schierarsi dalla parte dei familiari, a non ricreare un clima di sfiducia facendo sentire l’obbligo della terapia, deve piuttosto mettere delle premesse affinché il giocatore ritorni. E’ importante inoltre parlare al giocatore anche delle conseguenze negative del non giocare, non solo di quelle positive. Anche nel caso in cui il giocatore non aderisca al programma, è opportuno prevedere un PROGRAMMA PER I FAMILIARI.

Il lavoro mira a:

– ISTRUIRE il coniuge e gli altri familiari su alcuni concetti base dell’azzardo,

– FORNIRE INDICAZIONI rispetto ai comportamenti da adottare nei confronti del giocatore

Questo lavoro è molto più efficace se realizzato in gruppo.

I professionisti pensano che il fatto che il giocatore d’azzardo dovrebbe smettere è EVIDENTE, ma non dobbiamo dimenticarci che per il giocatore smettere di Giocare d’Azzardo significa:

– ACCETTARE e RICONOSCERE che i soldi che ha perso, li ha persi per sempre

– Dichiararsi sconfitto dal gioco (altri hanno vinto, lui ha perso)

– Dichiarare che ha perso anche un’attività importante per lui

– Smettere di pensare che la soluzione dei problemi è il gioco d’azzardo, ma ammettere che il gioco ora è il suo problema

– Pianificare una ristrutturazione finanziaria

– Lavorare per costruire nuove strategie di coping

Trappole cognitive – In un contesto terapeutico diventa indispensabile fare i conti con questa realtà per arrivare a creare DISSONANZA tra l’aspetto razionale e quello irrazionale/emotivo. E’ importante fare attenzione a non approcciarsi al giocatore ad un livello razionale, ad esempio cercando di dimostrargli che le probabilità di vincita sono indipendenti dal suo sistema, o dalle sue strategie, questo metterebbe il giocatore in una posizione di difesa, rafforzando la sua convinzione (pensiero magico).

Destrezza del giocatore – Il giocatore d’azzardo è vittima delle sue stesse convinzioni di destrezza.

Queste credenze rafforzano la percezione che egli ha di avere la maggiore sul fato, fino ad arrivare a negare in assoluto la “componente caso” e ad attribuire solo a se stesso il successo delle giocate. Molte ricerche dimostrano che l’avere un RUOLO ATTIVO nel gioco aumenta in maniera impressionante le somme di denaro giocate, il giocatore che lancia la pallina della roulette si sentire unico artefice della scommessa di vincita e pertanto punta somme più elevate, (si pensi anche alla consuetudine dei giocatori di casinò di appuntarsi i numeri usciti alla roulette su di un taccuino rendendosi attivi in una situazione di gioco passivo). Nel giocatore che ha un ruolo attivo nel gioco si rafforza la percezione di poter determinare il risultato, fino e spingerlo a pensare che esso non dipenda dal caso, ma solo dalle sue abilità. Attraverso tale distorsione cognitiva il giocatore è portato a considerare le situazioni casuali come controllabili. Frequenza di gioco e complessità – La tendenza comune dei giocatori d’azzardo patologici è di analizzare il gioco precedente: cosa è andato bene, casa male, cosa si è verificato di diverso nelle precedenti sedute di gioco; tutte queste informazioni minuziosamente analizzate vanno a costruire i pensieri premonitori, le consuetudini e le superstizioni che si radicano nella logica del giocatore. Il giocatore raccoglie numerose informazioni prima di ogni seduta di gioco, queste vanno dall’informarsi sulle capacità agonistiche del cavallo, al documentarsi dal gestore del bar su quale macchinetta da più tempo non paga…

Questa affannosa ricerca di informazioni utili per la giocata fanno sentire il giocatore esperto di quel gioco, documentato a dovere e pertanto più sicuro di vincere. Fortuna e Superstizione – I momenti in cui il giocatore d’azzardo perde vengono visti come momenti di “assenza di vincite”. I giocatori si reputano persone fortunate. Quando percepiscono questo stato d’animo in maniera più forte si sentono ispirati scommettono somme più elevate. Nel giocatore si radicano molte credenze, rituali e superstizioni che vengono mantenute e scrupolosamente osservate. Es. “Vinco sempre di più quando gioco la notte”, “vinco sempre di più quando gioco sulle macchinette di questa zona”, “cambio mano (del gioco), questo mi porta fortuna”. Il giocatore è convinto che scegliendo sempre lo stesso numero c’è maggiore possibilità di vincere. Es. “Mantengo sempre gli stessi numeri, finiranno per uscire”, “sono tre volte di seguito che perdo, quindi vincerò al prossimo giro”. L’obiettivo del terapeuta deve essere quello di instillare il dubbio nelle certezze che il paziente ha attraverso il confronto con esperienze fallimentari, non vincenti. Il lavoro deve quindi essere orientato a creare DISSONANZA tra esperienze attuali ed esperienze passate. Per fare questo tipo di lavoro, come già detto, è indispensabile lavorare in una situazione “a caldo”, in cui i pensieri erronei sono evidenti, non sempre è possibile creare tale situazione in un contesto terapeutico. Ricadute e Situazioni a Rischio – L’incidenza delle ricadute nel corso di un trattamento è molto alta. Dal punto di vista clinico la ricaduta è un’occasione per far sperimentare e consapevolizzare al paziente la sua fragilità rispetto all’attività di gioco. La ricaduta fa parte di un processo normale, è bene aspettarsela nel corso di un trattamento. Ricaduta non è indice di fallimento del lavoro svolto, Ladouceur per questa ragione preferisce parlare di SCIVOLAMENTO, dal quale ci si può rialzare e ripartire. Le situazioni a rischio per un giocatore in trattamento sono tra le più svariate:

– vedere una pubblicità, un servizio alla televisione o su un giornale che parla di corse, scommesse o altro

– vivere stati d’animo spiacevoli o emozioni negative (noia, collera, ecc.)

– aver vinto il giorno precedente

– aver perso il giorno precedente

– ricevere del denaro

– aver il pensiero dei conti da pagare

– venire a sapere che la macchina del bar “è piena”, oppure che corrono nuovi cavalli

– aver bevuto alcol

Le situazioni a rischio sono onnipresenti, il paziente deve allenarsi ad identificarle per tempo. Il giocatore è convinto delle sue capacità/abilità di gestione del gioco, è importante portarlo a dubitare di queste certezze. E’ importante lavorare sui processi cognitivi prima di attivare un INTERVENTO COMPORTAMENTALE. Il terapeuta deve responsabilizzare il paziente, spingerlo ad identificare delle strategie idonee e, attraverso una forma di allenamento, ad abbandonare gli errori cognitivi. Le STRATEGIE COMPORTAMENTALI che si possono mettere in atto per evitare rischi sono:

– individuare delle soluzioni alternative per sottrarsi alle situazioni a rischio

– far gestire il denaro a un familiare

– disattivare le carte di credito

– informare gli amici dell’intenzione di smettere di giocare, ecc.

– dare al paziente un ruolo attivo nella relazione terapeutica.

GENITORI DIGITALI (SI DIVENTA)

 

GENITORI DIGITALI

(si diventa)

 

 

Dott.ssa Flavia Pezzuoli

Psicologa Psicoterapeuta

 

 
RIFLETTERE SU COME GUIDARE LA VOSTRA FAMIGLIA NEL MONDO VIRTUALE ALLO STESSO MODO CHE NEL MONDO REALE

APPRENDETE ALCUNE DELLE TECNOLOGIE CON LE QUALI I VOSTRI FIGLI SI DIVERTONO

 
PARLATE CON I VOSTRI AMICI E CON LA FAMIGLIA SU COME AIUTANO I LORO RAGAZZI A UTILIZZARE IL MONDO DIGITALE: POTRETE APPRENDERE ALCUNI SUGGERIMENTI UTILI. CONFRONTATEVI CON I GENITORI DEGLI AMICI DEI VOSTRI FIGLI

 
CERCATE DI NON UTILIZZARE LA TECNOLOGIA COME FOSSE LA VOSTRA BABY SITTER. VA BENE QUALCHE VOLTA MA SUPERVISIONATE COSA FANNO I RAGAZZI!

 
NON TEMETE DI IMPORRE LIMITI E REGOLE, SPECIALMENTE PER I PIU’ PICCOLI
RENDETE LE QUESTIONI DIGITALI PARTE DELLA VITA QUOTIDIANA

 
MANTENETE IL DIALOGO MOSTRANDO DI COMPRENDERE QUANTO SIA IMPORTANTE LA TECNOLOGIA E RASSICURATELI SULLA POSSIBILITA’ DI CONFIDARVI QUALSIASI COSA LI TURBI NEL MONDO VIRTUALE

 
I RAGAZZI CI OSSERVANO:

DIAMO PER PRIMI IL BUON ESEMPIO!

 

NUTRIMENTE

nutri

A volte per cambiare vita tutto quello che serve è cambiare direzione.

A volte per cambiare direzione tutto quello che serve è cambiare abitudini.

 

Nutrimente è un corso dedicato al raggiungimento del benessere fisico e mentale, mediante i principi di sana alimentazione e le strategie mentali utili per raggiungere e mantenere il benessere.

Durante i 6 incontri impareremo insieme come mangiare in modo sano e vivere in salute, trovando il giusto equilibrio tra mente e corpo.

 

Nutrimente è un ciclo di 6 incontri, condotti da:

Dott.ssa Elena Dolfi – Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Alina De Donatis – Biologa Nutrizionista

Il corso ha una durata di 6 settimane e si svolgerà presso

il Centro Multidisciplinare di Psicologiain Via Banchelli n° 62, Prato

 

 

    Si può mangiare sano ed essere felici!


Per informazioni e iscrizioni chiamare
:

Elena 339 7414634 elenadolfi@hotmail.it

Alina 3932157696 alina.dedonatis@gmail.com

 

Il corso verrà ripetuto periodicamente.

AIUTO SARO’ MAMMA

Il CMP è lieto di presentare il nuovo CORSO DI PREPARAZIONE AL PARTO PER GESTANTI

AIUTO SARO’ MAMMA

Il momento della gravidanza è un momento di trasformazione, non solo corporea, ma anche dell’essere donna. Il percorso si rivolge a tutte quelle donne han- no voglia di conoscersi per prepararsi a vivere un momento molto importante della propria vita in tutte le fasi della gravidanza prima, durante e dopo il parto lasciando spazio a paure, aspettative, dubbi, che spesso le neo-mamme non sanno gestire.

Il percorso consiste in 8 incontri della durata di un’ora e mezza circa che si articolano in una parte esperienziale , che si avvale di tecniche di rilassamento provenienti dal Training Autogeno di Schultz; una parte di conoscenza del proprio corpo in trasformazione, che guida la donna verso l’educazione all’ascolto con l’utilizzo del movimento; una parte pre- parto che risponde ai timori e alle curiosità che potrebbero sorgere nelle mamme durante i mesi di gestazione e una inerente al momento successivo al parto che aiuta la donna ad imparare a sincronizzarsi con i tempi del suo bambino. Infine è previsto un momento per la coppia genitoriale focalizzato sul delicato momento del passaggio dall’essere 2 all’essere 3.

Il Training Autogeno Respiratorio (R.A.T) è nato come metodo di terapia per le malattie psicosomatiche e si avvale di esperienze tratte dalla pratica dell’ipnosi e del Training Autogeno di Schultz. L’applicazione del metodo R.A.T. alla psicoprofilassi ostetrica ha ormai dieci anni di vita, ed ha lo scopo di adattare i principi del rilassamento sul quale si basa il T.A. alle esigenze specifiche delle donne per facilitare il momento del parto. Il regolare e costante allenamento (training) permette di raggiungere una distensione ed un benessere psicofisico in modo automatico e spontaneo, ovvero in modo autogeno (che si genera da sé).

Il metodo R.A.T. di preparazione al parto comprende sette esercizi che, una volta conosciuti, devono essere perfezionati nelle settimane che precedono il parto. Il risultato di questo apprendimento trova una diretta applicazione nel periodo dilatante del parto, grazie anche all’insegnamento differenziato della condotta respiratoria e muscolare da adottare durante la fase espulsiva. Ciò renderà più spontanea la collaborazione della donna permettendole di mantenere uno stato di distensione e rilassamento generale e di conseguenza di provare meno dolore.

Il Corso è condotto da:

Dott.ssa Irene Fabbri, operatrice di Training Autogeno e lavora nell’ambito dello stress, dei disturbi psicosomatici, dei disturbi d’ansia e di problematiche affettive. Si occupa anche di sostegno alla donna in ambito oncologico.


Dott.ssa Elena Canicattì, esperta nel supporto alla donna pre e post partum. Si occupa anche di disturbi d’ansia e disturbi depressivi dell’adulto e dell’adolescente e del disturbo post traumatico da stress.


Dott.ssa Elena Dolfi , esperta in dinamiche relazionali familiari e lavora con coppie nella fase di preparazione e successiva al parto. Ha esperienza nell’ambito dei problemi alcol-correlati. Si occupa di bambini con difficoltà relazionali.

 

Dott.ssa Martina Brissagi è ostetrica e si occupa di accompagnamento alla nascita.

 

Il Corso è composto da 8 incontri, a cadenza settimanale, che si terranno il mercoledì dalle 9:00 alle 10:30, presso la sede del C.M.P., in Via Banchelli 62, a Prato.

Corsi in programmazione 2015:

4 Novembre 2015

13 Gennaio 2016

13 Aprile 2016

 

Il RAT ha lo scopo di sdrammatizzare il momento del parto riportandolo alle giuste dimensioni di funzione naturale dell’organismo materno, creando quindi condizioni di serenità e di autocontrollo” 

Per info rivolgersi a:
Dott.ssa Elena Dolfi 339/7414634

 

 

 

SENSATION SEEKING

 

SENSATION SEEKING IN ADOLESCENZA.

 

RICERCA PRELIMINARE

 

Maria Paola Macrì1, Katia Di Dato1, Elena Canicattì 1, Debora Gilardi1, Luca Filipponi3, Susanna Pizzo1, Aldo Galeazzi2

 

Abstract. Introduction. L’adolescenza è da sempre un periodo molto critico dello sviluppo,caratterizzato da rilevanti cambiamenti psicologici, fisici e sociali. La Ricerca di Forti Sensazioni o Sensation Seeking secondo Zuckerman (1994) è un tratto generale di personalità che coinvolge diversi ambiti della vita. Recenti ricerche evidenziano relazioni con alcuni fattori di personalità, autostima, abilità relazionali e contesto sociale, che risultano dinamicamente interrelati. Nella presente ricerca si intende analizzare le relazioni tra Sensation Seeking e autostima, abilità sociali, stili di coping, valutando eventuali fattori protettivi e di rischio. Methods. La ricerca è stata condotta su 218 adolescenti tra 14 e 20 anni, 135 maschi e 83 femmine, ai quali sono stati somministrati: Sensation Seeking Scale (SSS VI), Self Esteem Scale (RSES), Children Depression Scale (CDS), Adolescent Coping Orientation for Problem Experience (A-COPE) e la Scale for Interpersonal Behaviour (SIB).

Continua a leggere

LO STALKING

LO STALKING COME PATOLOGIA DELLA RELAZIONE1

 

Andrea Ciacci

 

Abstract. In questo lavoro si intende mostrare, attraverso un’analisi della letteratura sul fenomeno dello stalking, come un fattore di rischio per l’evolversi dei comportamenti di molestia verso agiti di natura più violenta sia la sussistenza di una precedente relazione intima tra stalker e vittima, relazione che in molti casi può presentare caratteristiche patologiche già prima del manifestarsi di comportamenti di rilevanza giuridica. Sulla base delle ricerche che indicano una bassa incidenza di psicopatologia in Asse I del DSM per gli stalker appartenenti a questo gruppo, ai quali sembra invece assai più frequentemente applicabile diagnosi di disturbo di personalità, si avanza una proposta di trattamento psicoterapeutico degli autori, proposta che potrebbe utilmente inserirsi contestualmente al momento dell’ammonimento da parte del questore, strumento innovativo introdotto con la stessa legge che ha portato alla configurazione dell’art. 612-bis del codice penale, con cui gli “atti persecutori” assumono valore di reato. Auspicando una futura clinica dello stalker, si avanza poi la Continua a leggere